IL FARO DI CABO DE SÃO VICENTE
ALGARVE – PORTOGALLO
Di Annamaria “Lilla” Mariotti
Latitudine 37° 01’ Nord – Longitudine 08° 59’ Ovest
Dall’estremità Sud Ovest della Regione di Algarve (dall’arabo “al gharb”, cioè “giardino dell’Occidente) in Portogallo, si protende verso l’Oceano Atlantico uno sperone con le pareti rocciose, un esteso promontorio a forma di triangolo, l’ultimo lembo di terra portoghese che vedevano i navigatori che lasciavano la loro patria. E’ il Promontorio di Sagres che termina con il Cabo de São Vicente, un punto nevralgico per il traffico marittimo che dal Mediterraneo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, si dirige verso il Nord Europa e anche verso le Americhe.
Era importante era anche nei tempi antichi, prima dell’avvento delle navi a vapore, quando i grandi velieri, difficili da manovrare controvento, per poter affrontare la traversata Atlantica dovevano prima scendere lungo le coste del Portogallo per trovare i venti favorevoli che li avrebbero spinti verso le Americhe e tutti questi vascelli dovevano passare da Cabo de São Vicente. In questa zona la costa rocciosa e scoscesa del Nord lascia il posto ad un più dolce paesaggio, un susseguirsi di bianche spiagge sabbiose rivolte verso Est, fino ad arrivare al confine con la Spagna.
Alcuni monaci francescani avevano qui costruito un riparo per i pellegrini in tempi remoti, ma nel 1515 esisteva già un piccolo monastero i cui monaci accendevano un fuoco per indicare la via alle navi, oltre ad alcune piccole fortificazioni. Ma questa, per la sua conformazione, non era una zona tranquilla e nel 1587 il pirata da corsa della Regina Elisabetta I, Sir Francis Drake, raggiunse le coste Iberiche e, dopo aver attaccato Cadice, si diresse verso Nord e distrusse le piccole fortezze e tra questa anche quella vicina a Cabo de São Vicente, la Fortaleza do Beliche.
Intanto il monastero cresceva e sul suo tetto l’ingegnere Perreira da Silva costruì nel 1846 un faro, una torre cilindrica bianca alta 25 metri (88 metri sul livello del mare) che ha una caratteristica unica : una lanterna enorme, alta 4 metri e con un diametro di 1,33 metri, tutta dipinta di rosso. Nel 1906 sono state installate nella lanterna delle lenti di Fresnel iper-radiali con una portata di 32 miglia, che rendono questo faro uno dei più potenti al mondo. Nel 1982 il faro è stato automatizzato, ma continua a vegliare sulle navi di passaggio lanciando un potente lampo bianco ogni 5 secondi.
I FARI DI KAP ARKONA – RUEGEN, GERMANIA
di Annamaria “Lilla” Mariotti
54° 41’ Nord 13° 26’ Est
Kap Arkona si trova sull’isola di Ruegen, la più grande isola in Germania, collegata alla terraferma da un ponte e la cui capitale è Bergen, affacciata sul Mar Baltico e rivolta verso la Penisola Scandinava.
L’isola ha in diametro di 50 chilometri ed ha una grande varietà di paesaggi : all’interno colline boscose si alternano a prati erbosi e lungo la costa scogli, baie e piccole insenature sono interrotte da ampie spiagge sabbiose. Questa terra porta ancora le tracce della presenza di antiche popolazioni che vi sono vissute in epoche remote, come mostrano le tombe megalitiche, ed è anche stata teatro delle lotte tra le popolazioni germaniche e i vicini scandinavi, fino alla cristianizzazione della Regione.
Sull’estremità settentrionale dell’isola si trovano due fari fisicamente vicini, ma costruiti in due diverse epoche e con due differenti storie.
Il primo, il più antico, è stato costruito dall’architetto Karl Friedrich Schinkel nel 1827 come aiuto alla navigazione, ha una base quadrata in mattoni che somiglia ad una fortezza di gusto classicheggiante, costruita su diversi livelli, interrotti da finestre rettangolari e termina con una fila di merli che contornano una terrazza su cui è posata una semplice lanterna rotonda. Questo faro è alto 19 metri e aveva una portata di circa 20 miglia. Un faro di quell’altezza e con una portata limitata non doveva essere molto utile sulla costa del Mar Baltico, così, invece di intervenire con opere di ristrutturazione, agli inizi del 1900 è stato deciso di costruirne uno nuovo.
Questo nuovo faro è stato costruito tra il 1901 ed il 1902 ma prima di metterlo in uso è stato sottoposto ad un periodo di prova di tre anni che terminò il 1° Aprile 1905 con l’inaugurazione ufficiale. Questa nuova struttura ha la forma classica di tutti i fari, è rotondo, poggia su una base più larga, atta a sostenerne il peso, si eleva per 35 metri di altezza ed ha una portata di 24 miglia.
Sotto la lanterna, dipinta di rosso e con il tetto a pagoda, si trovano due terrazzini circondati da una ringhiera di ferro. Questo faro è diventato il più importante della zona.
Recentemente i due fari sono stati dichiarati monumenti nazionali e tutta l’area è ora di proprietà della Regione che, per reperire i fondi necessari al mantenimento delle strutture e unitamente all’associazione “Amici di Kap Arkona”, creata appositamente, organizza al loro interno manifestazioni pubbliche e private, dalle conferenze ai matrimoni.
All’nterno del faro più antico si trova anche la sede di una Museo Marinaro.
IL FARO DI CASTRO URDIALES,
CANTABRIA – Spagna
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Lat. 43°23” N – Long. 3°12” W
La Spagna è considerata una nazione Mediterraea, in realtà le sue coste a Nord e a Occidente, si aprono sull’Atlantico e sono illuminate da un gran numero di fari d’altura, fari, cioè, la cui portata arriva almeno a 20 miglia. Non esistono in Spagna fari costruiti su rocce in mezzo al mare, come in Inghilterra, semplicemente perché non esistono barriere di scogli lungo le sue coste.
Il mare è profondo fin quasi alla riva e in certi punti le navi, anche di grosso tonnellaggio, possono tranquillamente avvicinarsi alla costa senza pericolo. Così i fari spagnoli sono molto meno drammatici di quanto può esserlo un faro come quello di Eddystone, che si innalza dal mare, quasi vi galleggiasse sopra, per segnalare uno scoglio molto pericoloso, i fari spagnoli sono prevalentemente costruiti per segnalare i promontori che si protendono in mare e l’ ingresso dei porti.
Castro Urdiales è un’antica città marinara che si trova nella Regione di Cantabria, sulla costa Nord della Spagna, a 62 chilometri da Santader e a 29 da Bilbao. Il suo stesso nome, Castro, evoca i romani, e la città ha avuto fortune alterne in un lontano passato, riprendendosi dopo la scoperta dell’America con l’accaparramento dei traffici commerciali con con il nuovo mondo, la sua popolazione fu decimata dalla peste nel XVI secolo, fu quasi distrutta durante la guerra con i francesi nel 1813, ma riuscì sempre a riprendersi e oggi, con l’industria mineraria, la pesca, l’inscatolamento del pesce e, soprattutto, il turismo, è una fiorente città.
Come ogni porto, anche quello di Castro Urdiales aveva bisogno del suo faro, ma in una piccola città come quella non era facile
identificare un sito adatto per costruirlo e a volte questa ricerca può portare alla realizzazione di un faro in qualche posto insolito.
Il faro di Castro Urdiales fu quindi costruito sulla torre Sud Orientale del castello di S. Anna, una costruzione medioevale che, pare appartenesse all’ordine dei Templari. L’abitazione per i guardiani venne costruita sopra il tetto del castello e l’antica cappella fu utilizzata per depositarvi i macchinari e come stanza per la manutenzione.
Il faro di Castro Urdiales è una torre conica in pietra, che si restringe leggermente verso l’alto, sormontata da un’alta lanterna in bronzo, il tutto alto 20 metri, che si innalza sopra una delle cinque torri della fortezza, portando l’altezza della lanterna a 49 metri sul livello del mare.
l faro fu acceso la prima volta il 19 Novembre 1853 e la sua luce, a quell’epoca, aveva una portata di sole 13 miglia e la manutenzione era curata da due guardiani. L’unico accesso alla torre era tramite le scale del castello, mentre all’interno del faro una scala conduceva alla lanterna. Dietro al faro si trova la chiesa di Santa Maria, una costruzione in puro stile gotico, che, con i suoi contrafforti laterali, sembra una farfalla con le ali aperte, pronta per spiccare il volo in netto contrato con la severità della fortezza.
Questo non è l’unico esempio di un faro costruito sopra una fortezza, ve ne sono altri sparsi per il mondo e non si sa a chi sia stata affidata la sua costruzione, non certo a un architetto famoso, di quelli il cui nome venga tramandato dalla storia.
Questa particolare parte della costa spagnola è molto piovosa e spesso la pioggia si trasforma in una fitta nebbia e quando questo succede a Castro Urdiales tutto viene avvolto da un’atmosfera ovattata e l’unica cosa visibile è la luce del faro che fende la coltre grigia.
All’’inizio la lanterna era illuminata con olio d’oliva, sostituito anni dopo con una lampada a petrolio e l’8 Febbraio 1919 la lampada originale è stata sostituita con una lampada elettrica da 100 Watt. Fino a quel momento il movimento rotatorio della lanterna era manovrato tramite un’apparecchiatura ad orologeria, sostituita nel 1926 con un sistema fluttuante a mercurio. In quello stesso anno sono state apportate consistenti modifiche : è stata installata una nuova lanterna di 1,80 mt di diametro con l’interno in mogano e inoltre la vecchia scala in pietra per l’accesso alla lanterna è stata sostituita con una metallica. Nel 1953 è stato installato un corno da nebbia e ancora negli anni ’80 del 1900 è stata sostituita la lanterna a vetri piatti con una dai vetri ricurvi e la sua portata è arrivata a 20 miglia.
In anni recenti ci sono state delle petizioni per cambiare la collocazione del faro, considerato un “affronto architettonico” al castello che avrebbe potuto essere usato per altri scopi. Tuttavia ormai l’aspetto tradizionale della cittadina era entrato nell’’im
maginario collettivo con il suo porto, la chiesta gotica di Santa Maria ed il faro sopra al castello ; il tutto era ormai parte del tesoro culturale della città ed è risultato impossibile pensare di cambiarlo.
E’ stato comunque creato un ingresso indipendente per il faro e la vecchia cappella è stata liberata dai macchinari, spostati in un piccolo edificio costruito appositamente nelle vicinanze, in modo da poter restituire il castello alle Autorità Cittadine che hanno potuto utilizzarlo come museo. Così il faro è ancora lì, e lì resterà, come tutti lo hanno sempre visto.
Oggi il faro è di proprietà dello Stato ed è gestito dall’Autorità Portuale di Santader
IL FARO DI CABO MAYOR
Santader, Cantabria, Spagna
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Lat 43°29’ Nord – Long 3°47’ Ovest
Santader è una grande città fino dal 1755, quando ha ottenuto il titolo, è capitale regionale della Cantabria, è, ed è sempre stata un porto molto importante con il suo traffico di merci e persone, soprattutto nel XVI secolo, per il commercio della lana con le Fiandre. La città si trova all’interno della stretta baia omonima che forma un porto naturale, situata sulla costa Nord della Spagna, che si apre sul Golfo di Biscaglia e sull’Oceano Atlantico. L’accesso a questa baia è molto pericoloso a causa di alcune piccole isole e di una lingua di sabbia che restringono il suo ingresso, inoltre i venti dominanti da Ovest e, specialmente durante l’inverno, le tempeste molto frequenti sulle coste Nord della Spagna, rendono ancora più pericolose e difficoltose le manovre per entrare nella baia.
Fino dai tempi più antichi a Cabo Mayor, un piccolo promontorio che si trova a destra dell’ingresso della baia, si trovava una torre di segnalazione sulla quale veniva acceso un fuoco durante le notti tempestose per guidare il ritorno delle molte barche dei pescatori, mentre di giorno le segnalazioni erano fatte per mezzo di bandiere colorate. Ma tutto questo non era più sufficiente per il traffico marittimo, che andava aumentando negli anni, così nel 1776 un locale uomo d’affari chiese l’autorizzazione per costruire un faro a Cabo Mayor, chiedendone anche la gestione con la quale avrebbe ottenuto il pagamento dei diritti pagati dalle navi in arrivo. Il permesso non gli fu accordato e il capo e la baia rimasero ancora al buio.
Il progetto fu ripreso due anni dopo, nel 1778, quando le autorità proposero un sistema per illuminare la baia e il porto di Santader, e fu deciso che l’opera sarebbe stata realizzata a spese del Tesoro Reale. La zona di Cabo Mayor fu subito esclusa a causa della sua lontananza dal porto, vennero quindi presi in considerazione due progetti : il primo prevedeva la costruzione di un faro all’ingresso della baia proprio sulla lingua di sabbia che ne restringeva l’entrata, abbastanza alto da essere visto dal mare al di là di Cabo Mayor; il secondo, invece, proponeva la costruzione di una fortezza sulla cui sommità sarebbe stato posto il faro, in modo da raggiungere due obiettivi, quello di proteggere la città e di illuminare il mare. Per motivi che non sono giunti ai posteri, entrambi i progetti furono abbandonati.
Dovevano passare ancora molti anni prima che fosse presa una decisione. Si era arrivati al XIX secolo, i commerci con le Americhe avevano apportato grandi cambiamenti alla città, la popolazione era cresciuta, il porto e i cantieri navali si erano espansi, non era più possibile dilazionare la costruzione di un faro, ormai divenuta indispensabile.
Nel 1833 le Autorità Portuali decisero quindi di costruire il faro, che sarebbe stato pagato con i tributi delle navi in arrivo, esattamente a Cabo Mayor, nello stesso posto scelto nel lontano 1776 e che era stato in seguito scartato, dove il faro si trova ancora oggi. Il faro fu acceso solennemente per la prima volta il 15 Agosto 1839, mentre ai suoi piedi la gente ballava e cantava. Per l’occasione la torre era stata ricoperta di piccole bandierine di carta, forse per ricordare l’antico faro che, di giorno, indicava la strada ai pescatori proprio con le bandiere. La lanterna era illuminata da tre stoppini circolari funzionanti ad olio, la cui luce era aumentata da un sistema di riflettori. L’apparato ottico aveva otto lenti e cento specchi nella parte superiore e sessanta specchi in quella inferiore per riflettere la luce. A quel tempo la lanterna consumava circa 200 grammi di olio all’ora.
Il faro ha subito molti cambiamenti nel corso del tempo, ma non nella sua struttura, che é rimasta quella originale. Nel 1893 fu anche testimone di una grande tragedia del mare, il mercantile Cabo Machichaco esplose nel porto, con la perdita di più di 500 vite umane e molti danni alle strutture a terra.
Con la tecnologia che avanzava, solo la lanterna ha subito modifiche, la più importante delle quali è stata l’elettrificazione nel 1920 e poi, nel 1954 l’installazione di un moderno segnale da nebbia e nel 1958 è diventata anche un radiofaro.
La torre è imponente, bianca, alta 30 metri, con una larga base circolare situata su un grande piazzale a picco sul mare e la sua luce spazza il mare con una portata di 21 miglia. Vicino si trovano due basse costruzioni che servivano una volta per gli alloggi dei guardiani e per il combustibile e che oggi vengono usati come magazzini per i macchinari.
Il faro è di proprietà del Governo Spagnolo ed è gestito dall’Autorità Portuale di Santander. All’interno del faro si trova una targa posta dal Dipartimento del Commercio di Santander :
“Questo faro fu costruito con molti tormenti
guida sicura su coste incerte
utile nei giorni di bel tempo
necessario in quelli tempestosi
e onorabile in altri più quieti
Anno 1838”
IL FARO DI LA CORUÑA, GALIZIA, SPAGNA
E LE SUE LEGGENDE
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Lat. 43° 23′ 13″ N – Long. 8° 24′ 17″ O
Molte sono le suggestive leggende legate al faro di La Coruña che ancora oggi si raccontano e che riguardano anche il mitico eroe Ercole e il capo celtico Lord Breogan che fondò la città di Brigantium, in Galizia, in realtà la torre originale fu costruita al tempo dell’Imperatore Traiano, alla fine del I° secolo D.C. da Caio Sevio Lupo, un architetto proveniente da Aemium, una città allora situata vicino a quella che oggi è Coimbra, in Portogallo e fu dedicata al Dio Marte, con l’intento di usarla sia come faro che come torre di avvistamento per proteggere il vicino porto di Brigantium.
Alla base della torre, dove è conservata, si trova tutt’ora una pietra con la seguente iscrizione :
MARTI – AUG. SACR.
C. SEVIVS LUPUS
ARCHITECTUS AEMINIENSIS
LUSITANUS EX.VO
Che tradotta significa : ” Consacrato a Marte. Gaio Sevio Lupo, architetto di Aemium, in Lusitania, a compimento di una promessa”
La torre fu costruita su una pianta quadrata, con i lati di 18 metri e un’altezza di 36 metri, aveva tre piani a su ogni piano si affacciavano quattro stanze comunicanti tra loro. In alto terminava con un pinnacolo cilindrico di circa 4 metri e intorno ad esso erano collocati i contenitori per il fuoco. La scala si trovava all’esterno e saliva tutto intorno alla torre.
La storia e le vicissitudini di questo faro si snodano attraverso i secoli, le prime tracce si trovano in un trattato di Paolo Orosio scritto tra il 415 e il 417 nel quale, per la prima volta, la torre viene chiamata “Faro”. L’uso della torre per questo scopo venne in seguito associato alla città e all’intera regione, tanto che nel 572 venne dato il nome di “Faro” ad una delle divisioni territoriali donata al Vescovato di Iria e nell’830 la regione viene chiamata “Contea del Faro” . Anche quando la popolazione costiera fu costretta a fuggire all’interno a seguito dell’invasione Normanna, a partire dall’846, la città fondata dai rifugiati fu chiamata “Burgo de Faro“. Nell’870 San Sebastiano, nelle sua cronache, racconta che i Normanni arrivarono “fino ad un posto conosciuto come Faro di Brigantium”. Nel 915 la proprietà della città di “Farum Brigantium” passò all’arcivescovado di Santiago di Compostela. Negli anni seguenti i territori limitrofi vengono sempre identificati con il nome del Faro mentre passano di mano in mano tra vari monasteri e chiese, finché nel 991 il Re Bermudo II dona “la Contea del Faro” alla Chiesa di Santiago. Durante il Medio Evo un Re, Alfonso V, conferma la donazione della Contea alla chiesa, con l’esclusione della torre, che viene però contesa tra vari nobili, a causa della sua posizione e della solidità della sua costruzione, infatti veniva usata anche come fortezza. Diventò di nuovo proprietà della corona, e poi ancora dell’arcivescovado di Santiago di Compostela, ma tutti questi cambiamenti portarono solamente alla rovina della torre che, a causa della mancanza di un’adeguata manutenzione, cominciava ad andare in rovina.
Alla fine del XII Secolo la città di Brigantium prende il nome di “Las Cruña” (dal latino “ad columnam” cioè vicino alle colonne) e nel secolo seguente divenne la città principale della regione. Intanto la torre continuava a decadere, la rampa delle scale esterne fu demolita e le sue pietre vennero usate per costruire una fortezza all’interno della città. A partire dal XVI Secolo la torre divenne proprietà della città, ma il fatto che mancava la scala per raggiungere i piani superiori la rese inservibile e così la sua rovina aumentò e nel 1589, durante l’assedio degli inglesi, fu definita “un nido per uccelli”. Fu solo nel 1682 che furono iniziati dei lavori per riattivarla come faro e per poter raggiungere la sommità furono creati dei passaggi nelle volte delle stanze, fu costruita una scala interna e in cima, sul lato Nord, furono costruite due piccole torri per contenere due lanterne. Le spese per la riparazione, la riattivazione e la manutenzione del faro furono pagate per 10 anni dai Consoli di Inghilterra, Olanda e Fiandra che erano interessati alla sicurezza della navigazione commerciale tra i loro paesi. In seguito questo onere passò alle Autorità Cittadine, ma ancora una volta la torre venne trascurata e questo provocò l’inizio di un altro declino con la caduta di una delle due piccole torri e danni alla scala interna.
Dobbiamo arrivare al 1785, quando la torre passò nelle mani del Reale Consolato Marittimo della Galizia, per vedere rinascere
questo monumento. In quello stesso anno fu decisa la sua ricostruzione e l’incarico fu affidato a Eustaqui Gianini, un ufficiale di marina e ingegnere. Il vecchio nucleo della torre fu rivestito con pietre di granito dello spessore di 60 cm., sulla cima fu costruita una volta ottagonale e all’interno una nuova scala, e nello stesso tempo furono effettuati altri lavori di ristrutturazione generale. I lavori finirono nel 1791 e con questo intervento il Faro prese l’aspetto con cui oggi lo conosciamo. La lanterna aveva sette riflettori alimentati a olio e l’eclisse era ottenuta da lastre d’acciaio mosse da un meccanismo ad orologeria.
A partire dal 1833 molti sono stati i cambiamenti che la lanterna del Faro ha subito e gli avvenimenti che lo hanno accompagnato. Una cosa interessante è che tra il 1849 e il 1854 fu istituita nel Faro una scuola per Guardiani del Faro, che attirava giovani che volevano imparare il mestiere. Nel 1921 arrivò l’elettricità e furono quindi abbandonati i vecchi sistemi di illuminazione e nel 1956 sul lato Sud Ovest della base fu costruito un nuovo quartiere per il Guardiano. Infine nel 1974 fu installato il corno da nebbia e nel 1977 il radiofaro.
Oggi la Torre di Ercole è diventata il simbolo della città di La Coruña ed è comune identificare l’una con l’altra. Il Faro per secoli è apparso sugli stemmi della città e attraverso queste rappresentazioni si possono anche vedere i vari cambiamenti a cui la torre è stata sottoposta. Oggi essa continua la sua funzione di Faro, la sua caratteristica sono quattro lampi di luce bianca con un periodo di 20 secondi che possono essere visti ad una distanza di 23 miglia. Ha un radiofaro e il segnale per la nebbia. La sua posizione geografica è : 43° 23′ 9″ Nord, 8° 24′ 24″ Ovest e la sua altezza sul livello del mare è di 57 metri.
E’ aperta al pubblico fino ai piani superiori, l’unica stanza non visitabile è quella della lanterna. Durante la salita su possono vedere i resti dell’antica costruzione romana ed i segni dei seguenti rimaneggiamenti. Alla base della torre si trova una piccola costruzione che protegge la pietra con l’iscrizione originale latina di cui si è parlato all’inizio.
Tra storia e leggenda si snodano le vicissitudini di questa torre che ha incrociato la sua storia con eroi del passato, ma che in realtà è stata costruita dai Romani per proteggere un porto importante per i loro commerci, un faro che ha vissuto momenti di declino e momenti di gloria, ma che, saldo come una roccia, ha attraversato i secoli, le bufere, gli imperi e gli imperatori. Ha subito molti cambiamenti, ma è rimasto lì, proteso verso l’Oceano Atlantico, come una testimonianza della lunga storia di questi monumenti luminosi che rischiano di andare perduti ancora una volta per l’incuria dell’uomo.
IL FARO DI LA JUMENT,
Nord Finistére, Bretagna – Francia
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Lat. : 48° 25’ Nord Long. : 5° 08’ Ovest
Il 9 Gennaio del 1904 il Signor Charles-Eugène Patron, dopo essere sfuggito a un naufragio, fece
un testamento con il quale lasciava 400.000 franchi per la costruzione di un faro, con due condizioni. Una era chiaramente scritta :“Questo faro dovrà innalzarsi su una roccia in uno dei paraggi più pericolosi del litorale Atlantico, come quello dell’Isola di Ouessant”, mentre l’altra condizione era che il faro doveva essere costruito entro sette anni, pena il decadimento della donazione. Il Signor Patron morì nel Marzo dello stesso anno.
Le autorità di Parigi erano restie a costruire un altro faro in quella zona : il faro di Créac’h copriva già quel tratto di mare e quello di Ar-Men era appena stato completato, ma alla fine fu deciso che un altro faro nel canale di Fromveur, che conduce direttamente a Brest, sarebbe stato utile. La scelta cadde sullo scoglio di La Jument dove anni prima, nel Febbraio 1855, si era già verificato un tragico naufragio, una roccia a Sud Ovest dell’isola di Ouessant, zona di difficile accesso, di forti correnti e di violente mareggiate. Tra i naviganti corrono doversi proverbi che riguardano questo tratto di mare, uno di questi dice : “Qui voit Ouessant voit son sang” (“Chi vede Ouessant vede il suo sangue”).
I lavori iniziarono nel 1904 e si presentarono subito difficili, come per tutti i fari in alto mare. Nel primo anno, a causa delle condizioni sfavorevoli, gli operai poterono accostarsi allo scoglio solo 17 volte, per un totale di 52 ore di lavoro; l’an
no seguente il mare fu ancor più inclemente e gli uomini dovettero lavorare nell’acqua sotto la minaccia delle onde, ma grazie all’organizzazione rigorosa, il cantiere proseguì e il faro in granito, alto 47 metri, fu inaugurato il 5 ottobre del 1911.
I fondi si stavano esaurendo e nella fretta di finire gli ingegneri non si erano resi conto che al disotto della roccia si trovava una cavità, che l’isolotto non era abbastanza alto sul mare e che una vicina barriera di scogli convogliava contro la base del faro ondate pericolose. I conseguenti lavori di rinforzo e di consolidamento, ripresi in tempi diversi, durarono fino al 1940.
Fu durante la prima forte tempesta che i cinque guardiani che si trovavano nel faro si resero conto che la torre non era stabile. Le onde che arrivavano da sud-ovest si infilavano nella cavità sotto la roccia e facevano tremare pericolosamente tutta la struttura: i vetri della lanterna si spaccarono, l’acqua entrò dalle finestre e il mercurio della vasca su cui galleggiavano le lenti si sparse dappertutto, intossicando alcuni degli uomini.
Questo incubo durò cinque giorni e cinque notti, finché una nave di soccorso raggiunse il faro per portare a terra gli uomini intossicati. Da un controllo che seguì gli ingegneri si resero conto che il faro non era ben ancorato alla roccia e che stava in piedi solo grazie al suo peso. La situazione era talmente grave che nel 1918 la Marina fece evacuare il faro e venne addirittura presa in considerazione l’idea di metterlo fuori servizio. Tuttavia prevalse l’ipotesi di effettuare ulteriori lavori di consolidamento, che iniziarono immediatamente, con il riempimento della cavità sottostante il faro. Seguirono opere di rinforzo della base con una camicia di cemento armato. Anche in questo caso il cantiere procedette lentamente e con grandi difficoltà, tra l’alta e la bassa marea, tra un’onda e l’altra. L’ultimo lavoro, il più difficile, fu quello di ancorare la torre alla roccia con dei cavi d’acciaio in tensione, con una trazione di 2.500 tonnellate. Charles-Eugène Patron non avrebbe mai immaginato quanto sarebbero lievitati i costi del faro da lui voluto per testamento.
I guardiani tornarono quindi a La Jument: il faro continuava a tremare, i vetri della lanterna si rompevano e si aprivano crepe nelle pareti, ma ormai nessuno ci faceva più caso.
La prova defintiva si ebbe nel 1989, quando una tempesta più terribile delle altre vide il faro sommerso dalle onde, fatto reso famoso dal fotografo Jean Guichard, allora si ci fu la conferma che, nonostante tutto, la torre resisteva.
Il faro di La Jument è il più esposto e il più pericoloso dei fari francesi: sembra sorgere dal mare, con la sua torre esagonale che si eleva su una base a terrazza circondata da una ringhiera e termina con una terrazza sporgente su cui è posata la lanterna dipinta di rosso. Dal luglio 1991 il faro è stato automatizzato ed è telecomandato dal faro di Créac’h, sull’isola di Ouessant: i suoi tre lampi bianchi ogni 15 secondi continuano ad illuminare quel pericoloso tratto di mare.
IL FARO DI CREAC’H
ILE D’OUESSANT – BRETAGNA, FRANCIA
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Lat. 48° 27’ Nord – Long. 5° 07’ Ovest
Sebbene la Francia sia stata in ritardo rispetto al resto dell’Europa nella costruzione dei fari ora le coste francesi sono tra le più illuminate di tutto il vecchio continente. Quando alla fine del 1800 la costruzione di queste strutture aumentò, la filosofia seguita è stata quella di costruire ogni faro a una distanza tale dal seguente, in modo che le navi potessero avvistare la luce di un faro appena se ne erano lasciato alle spalle un altro.
Sono migliaia i fari installati lungo le coste francesi e 120 di questi si trovano nella zona di Finistère. La penisola di Finistère, in Bretagna, è la prima che avvistano le navi in arrivo dalle coste atlantiche e sull’estremità Nord Occidentale dell’Isola di Ouessant, situato in alto su una roccia che si eleva sull’Oceano Atlantico, si trova il faro più potente d’Europa, il più importante per il traffico marittimo tra il Canale della Manica e l’Atlantico. Si tratta di Créac’h (il suo nome significa “promontorio” in dialetto bretone), conosciuto anche come il faro di Ouessant.
Questo faro imponente, alto 55 metri, è stato costruito nel 1863 per proteggere l’aumentato traffico marittimo in quella zona, dovuto anche allo sviluppo delle colonie oltre oceano, traffico che entrava e usciva dal Canale della Manica da e verso le rotte oceaniche. Il vecchio faro di Le Stiff, costruito nel 1695 e alto solo 32 metri, che si trovava già sull’isola e veniva acceso solo durante l’inverno, non era sufficiente a prevenire i naufragi su quella costa frastagliata, la sua luce era troppo scarsa. Créac’h ha di fronte a sé, alla base dell’altura su cui si trova, una distesa di scogli frastagliati che possono tagliare come coltelli, sui quali si frange la forza delle onde dell’oceano. E’ stato calcolato che all’inizio del XX° Secolo almeno 30.000 navi sono passate vicino all’isola di Ouessant, spesso avvolta dalla nebbia che è sempre la maggiore causa di sinistri.
Come tutti i fari anche questo ha una lunga storia, durante gli anni sono state apportate molte modifiche che lo hanno reso quello che è oggi.
Nel 1888 è stato elettrificato ed è stato dotato di una nuova ottica, più luminosa, poi, nel giro di 40 anni è stato ancora modernizzato a diverse riprese, con tre ottiche diverse, che hanno raddoppiato la sua portata luminosa fino a 34 miglia. Un corno da nebbia era anche
indispensabile e nel 1900 è stata installata una moderna sirena, sostituita nel 1912 da una campana e nel 1985 con un segnale a vibrazione situato sulla terrazza del faro. Nel 1987 è stato anche installato sulla lanterna un sistema di segnalazione per impedire agli uccelli migratori di urtarla durante il loro volo.
Il faro funziona con un bulbo a gas di xeno, che ha una durata di 5.000 ore e quando i faristi devono sostituirlo sono obbligati ad indossare maschera e guanti protettivi. Lo xeno (il cui nome deriva dal greco “xenox”, – straniero) è un gas nobile, inerte, inodore e incolore scoperto nel 1898 dagli inglesi Sir William Ramsey e Morris W. Travers e che viene usato come gas per lampade ad arco, nelle lampadine flash e nelle lampade a fluorescenza. La sollecitazione elettrica dello xeno produce un’esplosione di brillante luce bianca. Questo fa sì che i due lampi bianchi ogni dieci secondi che lancia il faro di Créac’h siano i più potenti d’Europa.
Nel faro di Créac’h, inoltre, dopo l’automatizzazione dei fari di Stiff, Nividic, La Jumentr, Kéréon e Les Pierres Noires, è stato installato il computer che regola e controlla l’attività di tutti questi fari.
Nell’antica centrale elettrica alla base del faro, sostituita con una più moderna, fino dal 1988 è stato aperto il Museo ufficiale des Phares et Balise, l’Ente che gestisce i fari in Francia, in cui sono esposte le più belle lenti di Fresnel di tutta Europa, tra cui le prime lenti del faro di Le Cordouan, insieme a reperti che raccontato la storia e l’evoluzione dei fari. Non c’era posto più adatto al mondo per un simile museo, nel primo faro elettrificato in Francia.
Il faro di Créac’h è una torre cilindrica, a bande bianche e nere che sostiene un’alta
lanterna di ferro e la cui base è circondata da una serie di edifici a ferro di cavallo. Ma l’esterno semplice e lineare è niente in confronto all’interno, le cui pareti sono interamente ricoperte da pannelli e intarsi in legno, dando al faro un’ aspetto lussuoso e caldo, da club inglese. Il soffitto in cima alla scala a chiocciola è decorato con una rosa dei venti in legni di colore diverso.
La fantasia degli architetti dei fari francesi non ha limite, non si accontentano di costruire una torre luminosa, il gusto del bello in Francia si estende all’interno di un faro che, nell’immaginario collettivo, dovrebbe essere quanto di più spoglio e di più spartano si possa immaginare.
MACQURE – IL FARO DEL GOVERNATORE
SIDNEY, AUSTRALIA
di Annamria “Lilla” Mariotti
Lat. : 33° 51′ Sud – Long. : 151° 17′ Est
Il faro di MacQuaire, conosciuto anche come South Head Upper Light, è stato il primo e quello che è rimasto in uso più a lungo in tutta l’Australia e si trova in una località chiamata Dunbar Head, all’ingresso del porto di Sidney.
Bisogna cominciare con degli eventi storici perché la storia di questo faro si intreccia con quella di alcuni personaggi, che oggi fanno parte della storia, che per un motivo o per un altro, ebbero a che fare con il faro.
Nella prima metà del 1800 l’Australia era ancora in gran parte territorio inesplorato. Il famoso esploratore Capitano Cook l’aveva reclamata per l’Inghilterra nel 1770, e a quel tempo la popolazione locale era costituita da aborigeni che sicuramente, almeno in parte avranno subito la sorte di tutte le popolazioni indigene all’arrivo dei bianchi conquistatori.
Nel 1788 venne fondata nella parte Sud Orientale dell’Australia una colonia inglese chiamata Nuova Galles del Sud, in omaggio alla madrepatria, che, come altri territori inglesi del nuovo mondo, fu quasi subito adibita a colonia penale, un ottimo sistema per rendere abitabile un pezzo di terra in fondo al mondo e avere della mano d’opera a buon prezzo, se non gratis. Naturalmente la Corona favoriva anche l’espatrio di cittadini liberi che volessero trovare in quella terra nuove possibilità di lavoro.
Nel 1809 arrivò in quel territorio il nuovo Governatore, Lachlan MacQuarie (1761-1824), un ufficiale scozzese che aveva già servito la corona in diverse parti del mondo. Era arrivato con la seconda moglie Elisabeth per sostituire il Governatore William Blight (1754-1817), il quale, dopo il famoso ammutinamento della sua nave, il Bounty, benché fosse stato prosciolto da qualsiasi addebito per quell’avvenimento, non aveva più avuto molta credibilità come comandante di una nave e alla fine era stato nominato Governatore di quella nuova terra, dove però incappò di nuovo in una brutta avventura, perché la sua carriera questa volta finì con “la rivolta del rum”.
Blight fu deposto e arrestato il 26 Gennaio 1808, nel ventesimo anniversario della fondazione della colonia, da un ufficiale della guardia, su istigazione di quella che era la parte benestante dei cittadini, trovandosi così ad affrontare il secondo ammutinamento della sua vita, questa volta a terra. Non si sa molto di questa storia, pare che il rum non c’entrasse per niente con questo arresto, il regolamento sul commercio di alcolici era stato solo un pretesto, pare che tutto fosse dovuto al fatto che era stato violato un codice d’onore, più antico delle leggi scritte. Comunque Blight fu liberato dopo un anno, tornò in patria e diventò Ammiraglio. Casi della vita.
Il nuovo Governatore era uno scozzese duro come una roccia, era nato in una delle isole Ebridi il 31 Gennaio 1761, figlio di un carpentiere, ma parente stretto di un Capo Clan, il che gli permise di fare una rapida carriera nell’esercito, dove entrò a 15 anni. L’anno seguente si trovava già in Canada, ad Halifax in Nuova Scozia. A 20 anni era già tenente e si trovò a New York e Charleston durante le fasi finali della guerra d’Indipendenza Americana.
Dopo un breve ritorno a casa ripartì per l’India, dove divenne segretario militare del Governatore di Bombay. Mentre si trovava ad Antigua sposò Jane, la sua prima moglie, ma il matrimonio durò poco perché la giovane donna morì appena tre anni dopo in Cina senza avergli dato un figlio. Nel 1801 si trovò promosso ad assistente del Generale e inviato in Egitto. Nel 1802 fu promosso maggiore e rientrò in Inghilterra, a Londra, dove ebbe anche l’occasione di essere ricevuto da Re Giorgio III e dalla Regina Carlotta e di fare vita di società. Nel 1805 ottenne il grado di tenente colonnello e tornò in India. Nel 1806, dopo un viaggio avventuroso via Bagdad, Mosca e San Pietroburgo, rientrò a Londra dove nel 1807, a 46 anni, una bella età per quell’epoca, sposò la sua seconda moglie Elisabeth dalla quale ebbe il tanto sospirato figlio maschio. Ed ecco che due anni dopo arrivò la nomina a Governatore della Nuova Galles del Sud, in Australia, primo governatore appartenente all’esercito, dato che i precedenti erano stato tutti ufficiali di marina e dove rimase fino al 1821.
C’era molto da fare in quel territorio e MacQuarie per primo vide le possibilità di utilizzare la forza lavoro dei deportati, che erano nel frattempo aumentati di numero, offrendo in cambio la libertà. Fu così che realizzò molte opere civili che ancora esistono ed é qui che la storia del Governatore si intreccia con quella del primo faro australiano che porta il suo nome.
Anticamente Sidney si chiamava Port Jackson e già nel 1791, ad appena un anno dall’arrivo della prima flotta di coloni, un’asta con una bandiera indicava l’entrata del porto, ma questo non era sufficiente e nel 1793 venne innalzato un semplice traliccio che sosteneva un braciere nel quale veniva bruciata legna, e questo fu, per 25 anni, l’unico segnale che illuminava l’ingresso della rada. Fu proprio MacQuarie che decise di costruire un faro in pietra e per questo diede l’incarico a Francis Greenway (1777-1837), un architetto deportato per motivi politici, che già aveva collaborato con il Governatore per realizzare alcune delle più belle costruzioni pubbliche di Sidney e che in seguito fu emancipato.
Come succede spesso per molti i fari anche la costruzione di questo richiese tempo e fatica. I lavori iniziarono nel 1816 e per la torre e per l’edificio venne impiegata pietra arenaria. La torre era centrale, appoggiata su una bassa struttura vagamente orientaleggiante, con due cupole ai lati. I lavori
terminarono nel 1818 e la lanterna era illuminata da un certo numero di lampade ad olio, la cui luce veniva amplificata da riflettori parabolici e girava grazie ad un apparato ad orologeria.
La lanterna lanciava un lampo bianco ogni minuto e la luce era visibile fino a 22 miglia. In realtà l’architetto avev messo subito in guardia il Governatore : il materiale usato per la costruzione era di scarsa qualità e prevedeva che avrebbe presto subito dei danni, infatti, già nel 1823 delle pietre si staccarono dalla struttura, che venne subito rinforzata con delle bande di ferro, ma con scarsi risultati. A quel tempo però il nostro Governatore era già tornato in Inghilterra, dove doveva difendersi dalla accuse che gli erano state mosse per il fatto che la sua politica portava a garantire agli ex deportati gli stessi diritti che avevano i coloni, fino al punto che aveva elevato alla carica di magistrato due emancipati e ne aveva invitati altri a cenare alla sua tavola.
Questo non era piaciuto né ai militari, né tanto meno a coloro che facevano parte della cosiddetta buona società locale, al punto che il Governatore fu messo sotto inchiesta e quando terminò il suo mandato e tornò a Londra, nel 1821, dovette discolparsi di un’accusa di abuso d’ufficio, di qualcosa che in realtà non aveva commesso, in quanto la sua era stata solo una visione moderna di un mondo nuovo. Sotto il suo governatorato la colonia era arrivata a battere moneta e MacQuarie aveva anche fondato la prima banca locale. Non è ben documentato l’esito dell’inchiesta, ma si sa che Macquarie nel 1822-1823 intraprese un viaggio in Europa con tutta la famiglia e che nel 1824 si recò a Londra ancora per questioni inerenti l’inchiesta e lì morì per un’infezione renale, a 63 anni, senza avere ottenuto la pensione che gli era stata promessa.
Il ricordo che lasciò nella Nuova Galles del Sud era, ed è, tale che la sua tomba è tutt’ora gestita dal National Trust of Australia, ed il suo nome è ricordato in molti posti : gli sono state dedicate delle strade, un lago, un porto, un’università, un’isola, un francobollo e non solo sul continente australiano.
Comunque il suo faro gli sopravvisse, ma in tali condizioni che nel 1878 il Governo della nuova Galles del Sud decise di costruirne uno nuovo. La costruzione iniziò nel 1881 e terminò nel 1883. I lavori erano stati affidati all’architetto James Carnet il quale costruì una copia esatta del vecchio faro, utilizzando però del materiale di migliore qualità ed apportando delle modifiche solo alla lanterna che era più grande della precedente per alloggiare un apparato di illuminazione più moderno, infatti vi furono installate della lenti di due metri di diametro, le lenti di Fresnel, costruite dalla ditta Chance Brothers di Birmingham, in Inghilterra, e considerato a quale tempo l’impianto di illuminazione più moderno al mondo. Altre modifiche riguardarono le decorazioni, si era a quel tempo in epoca vittoriana e al faro furono aggiunte alcune sculture che ritraevano la regina.
La nuova apparecchiatura funzionava con l’elettricità fornita da due giganteschi magneti da due tonnellate e mezzo mossi da un silenzioso motore orizzontale da otto cavalli alimentato a carbone. Con questo sistema il faro lanciava un lampo di otto secondi ogni minuto e poteva essere visto alla distanza di 25 miglia. I magneti funzionavano uno alla volta, il secondo veniva messo in funzione solo quando le condizioni atmosferiche erano pessime e questo permetteva allora di ottenere una potenza di luce che era considerata l’unica al mondo. Uno di questi due magneti, ristrutturato, è ora in mostra all’interno del faro. Comunque, con il bel tempo e la visibilità buona, l’illuminazione del faro era affidata solo a un bruciatore a gas.
I due fari, il vecchio e il nuovo, convissero per molto, molto tempo, nessuno voleva abbattere il faro del Governatore, anche se il nuovo portava sempre il suo nome. Venne rimosso l’apparato di illuminazione dal vecchio faro, ma la struttura sopravvisse fino ai primi del 1900.
Intanto la gestione dei due motori a gas era risultata troppo costosa, così nel 1912 la lanterna venne alimentata con vapori di kerosene, fino al 1933, quando fu finalmente elettrificata. Dal 1976 il faro è automatizzato e l’ultimo guardiano ha lasciato la struttura nel 1989.
Chissà cose avrebbero pensato di tutte queste innovazioni il Governatore e il primo guardiano del primo faro MacQuarie, un certo Robert Watson, già avanti negli anni, che venne esonerato dal suo lavoro di Comandante del porto, dopo una vita da marinaio, e gli venne affidato l’incarico di occuparsi di questo importante ed unico faro australiano a partire dal 28 Novembre 1818 e che morì meno di un anno dopo. Anche lui è stato ricordato dagli abitanti della nuova colonia e dalla storia : la vicina Baia Watson ha preso il suo nome.
Oggi i discendenti di quei primi galeotti sono fieri dei loro antenati, non tutti erano dei veri malfattori, a quell’epoca si mandava la gente in colonia penale anche per poco, e molti di questi uomini, e donne, hanno saputo a prezzo di grandi sacrifici e lavoro ottenere la libertà e dare inizio alla vita in un continente immenso anche grazie alla visione di un lungimirante Governatore che sapeva riconoscere il valore dell’uomo al di là delle sue azioni e che aveva saputo dare a quei primi coloni una possibilità di riscatto.
IL FARO DI PORTLAND HEAD
PORTLAND, MAINE – U.S.A.
Testo e foto di Annamaria “Lilla” Mariotti e archivio del faro
Lat. : 43° 37’ Nord – Long. : 70° 13’ Ovest
Il faro di Portland Head si trova a Cape Elisabeth su una testa di terra all’ingresso del principale canale di navigazione nel porto di Portland, all’interno della Casco Bay nel Golfo del Maine. Completato nel 1791, è uno dei fari più antichi degli USA
Nel 1700 lo stato del Maine faceva ancor parte del Massachusetts e fu solo nel 1786 che venne fatta la prima richiesta per la costruzione di un faro all’ingresso del porto di Portland, che allora si chiamava Falmouth, nella zona di Cape Elisabeth, che era uno dei più trafficati d’America.
La costruzione iniziò solo nel 1787 subito dopo che una nave naufragò su quelle rocce infide, ma il lavoro fu presto interrotto per mancanza di fondi.
Nel 1789, divenne presidente degli Stati Uniti George Washington e su sua istanza il Congresso autorizzò la ripresa della costruzione con uno stanziamento di $1.500. George Washington in persona ingaggiò due costruttori locali , Jonathan Bryant and John Nichols, e li incaricò di occuparsi della costruzione.
I fondi stanziati non erano ancora sufficienti e i lavori furono eseguiti con una certa economia e con matriale locale per cui e la torre originale era alta solo 17 metri, ma ben presto fu chiaro che la sua luce non sarebbe stata abbastanza visibile, così fu alzata e a lavori finiti la portata del faro raggiungeva i 22 metri.
Il faro fu completato nel 1790 e acceso per la prima volta il 10 Gennaio 1791 illuminato da da 16 lampade alimentate con olio di balena.
Il primo Guardiano del Faro di Portland, un veterano della Rivoluzione Americana di cui non si conosce il nome, fu incaricato dal Presidente in persona. Quest’uomo non percepiva uno stipendio, ma aveva il permesso di abitare nella casa adiacente, di pescare e di piantare ortaggi.
Un faro così antico ha una lunga storia da raccontare, già nel 1810 si trovava in cattive condizioni, così furono fatte riparazioni e
apportate modifiche. Nel 1813 furono in installate nella lanterna le lenti di Winslow Lewis (1770-1850), un discusso capitano marittimo molto attivo nella costruzione di fari in America durante la prima metà del XIX secolo. Questo capitano applicava ai fari americani un suo sistema di illuminazione che praticamente si basava su uno già in uso nei fari europei, quello delle Lampade di Argan. La sua pratica nel campo dell’ingegneria non era molta e le torri da lui costruite non duravano a lungo e quasi nessuna sopravvive oggi. Questo è tutto quello che si sa sulla sua carriera.
In questi anni un frequente visitatore del faro era il poeta Henry Wadsworth Longfellow, nativo di Portland e amico del guardiano, che scrisse la sua poesia “The Lighthouse” seduto su una roccia alla base della costruzione. Una targa ricorda ancora oggi questo avvenimento.
Sembrava che questo faro non avesse pace, altre lanterne furono installate nel 1850 e nel 1855, la torre fu ricoperta con mattoni e venne installata una scala a chiocciola di ghisa traforata all’interno.
Il naufragio della nave inglese “Bohemia” che trasportava emigranti in Inghilterra, avvenuto nel 1864 e la guerra Civile Americana che rendeva necessario poter vedere il faro del porto di Portland al più presto fece decidere l’anno dopo di alzare la torre di altri 6 metri e inoltre vennero installate lenti di Fresnel di quarto ordine. Ma anche questa luce non era sufficiente e nel 1885 la torre fu ancora rialzata e le lenti furono sostituite con lenti di Fresnel di secondo ordine. La casa del guardiano che si vede attualmente fu costruita nel 1891.
Nel 1869 divenne Guardiano del faro Joshua Strout, già capitano marittimo e nativo di Cape Elisabeth che diede inizio ad una dinastia di guardiani del faro che sarebbe durata per 59 anni, fino al 1928.
Durante questo periodo avvenne uno dei più strani naufragi della storia della marineria : la vigilia di Natale del 1886 il tre alberi “Annie C
. Macguire” si schiantò contro le rocce sotto Portland Head. Joshua, suo figlio e la moglie, con l’aiuto di alcuni volontari, posarono una semplice scala tra la riva e l’imbarcazione, riuscendo così a salvare il capitano, sua moglie, gli ufficiali e tutti i membri dell’equipaggio. Nessuno seppe mai spiegarsi cosa fosse successo perché, nonostante la stagione invernale, la visibilità era ottima e il mare calmo. Il giorno di Capodanno del 1887 una tempesta distrusse completamente il veliero, dopo che tutti gli oggetti di valore erano stati salvati. Anche di questo avvenimento rimane un ricordo ai giorni nostri : una scritta sulla roccia alla base del faro “In memory of the ship Annie C. Maguire, wrecked here, December 24, 1886.”
La torre subì molte altre modifiche, i 6 metri aggiunti alla torre nel 1865, furono rimossi nel 1882, poi fu di nuovo rialzata di 6 metri entro un anno, comunque oggi la sua altezza si è fermata a 24 metri. L’elettricità è arrivata al faro nel 1929 e la sua luce fu spenta per tre anni durante la seconda guerra mondiale
Dopo questi ultimi cambiamenti poco è cambiato fino al 1989 quando il faro è stato automatizzato. Nel 1990 la proprietà è passata in affitto alla città di Cape Elisabeth, alla quale fu donata tre anni dopo grazie al Senatore George Mitchell. Oggi la Guardia Costiera gestisce ancora il faro e il segnale da nebbia, ma tutto il resto è gestito dalla città di Cape Elisabeth e iscritto nel registro dei luoghi storici.
Il luogo dove il poeta Longfellow scrisse un giorno la sua poesia è oggi uno dei luoghi più frequentati e fotografati d’America. Il faro si trova all’interno del Fort Williams Park e arrivando si ha la vista di uno dei più vecchi fari esistenti nel Nuovo Continente, con la sua torre conica bianca, come la casa del guardiano a due piani, posta di fianco, i tetti sono rossi e la lanterna in ferro è dipinta di nero, una vista indimenticabile.
Si può salire lungo la bellissima scala di ghisa traforata fino alla terrazza, non si può però entrare nella lanterna che è chiusa al pubblico, ma la sue lenti sono messe in bella vista per la gioia dei visitatori.
Dal 1992 la casa del guardiano è stata adibita a museo e negozio di souvenirs i cui proventi sono utilizzati per la conservazione del faro che rimane testimone silenzioso da più di 200 anni di tutto quello che è avvenuto ai suoi piedi.
IL MISTERO DEL FARO DI EILEAN MOOR
ISOLE FLANNAN, SCOZIA
di Annamaria “Lilla” Mariotti
Ay, though we hunted high and low
And hunted everywhere
Of the three men’s fate we found no trace
Of any kind in any place
But a door ajar and an untouched meal
And an overtoppled chair……
Tratto da “ Flannan Isle” di Wilfrid Gibson, 1912
La prima volta che sono venuta a conoscenza per puro caso del fatto che sto per raccontarvi non l’ho preso per vero. Ho pensato a una leggenda locale o all’’invenzione di qualche fantasioso scrittore, così ho deciso di documentarmi e, seguendo gli indizi, sono arrivata ai National Archives of Scotland, ed ecco, davanti a me, i documenti originali, i telegrammi, la corrispondenza, i rapporti, tutto quello che concerneva questo giallo, un caso misterioso accaduto più di cento anni fa e mai risolto. Il faro e l’Oceano Atlantico hanno mantenuto e manterranno per sempre il loro segreto.
Tutto è accaduto a Eilean Mor,“Grande Isola” in Gaelico, una delle isole Flannan, una manciata di sette scogli buttati quasi per caso nell’’ Atlantico del Nord Ovest, chiamate anche “I sette cacciatori”, situate a 33 Km dalle Isole Ebridi, al largo della Scozia.
Queste isole prendono il loro nome da un vescovo, Flannan o Flann, che nel 1600 aveva fatto erigere una cappella proprio su Eilean Mor. Il motivo che può aver spinto quel pio uomo a costruire una cappella in quell’angolo di mondo sperduto in quell’epoca e soprattutto le difficoltà che può avere incontrato per portare a termine il suo compito sono del tutto sconosciute, comunque tutto l’arcipelago è sempre rimasto disabitato.
In tempi antichi i pastori delle Ebridi solevano portare le loro pecore a pascolare su alcune di quelle isole, ricche di pascoli durante l’’estate, ma mai vi passavano la notte. Quegli scogli avevano la fama di essere abitati da presenze misteriose, inquietanti e nessuno aveva la volontà di fermarsi a controllare se era vero. Meglio tornare con la rassicurante luce del sole.
La “Grande Isola” ha una superficie di circa 150 metri quadrati e il suo punto più alto raggiunge appena gli 80 metri. Anche se durante l’estate l’isola ha una lussureggiante fioritura e pullula di uccelli marini, non potrebbe esserci posto più desolato in tutto il mondo e mare più pericoloso intorno, infatti durante gli anni, con l’aumentare della navigazione in quella zona, aumentò il numero dei naufragi. Per questo nel 1895 venne presa la decisione di illuminare quel tratto di costa tra le Flannan e l’’isola di Lewis e la scelta cadde sull’’isola di Eilean Moor. I lavori durarono a lungo, tra mille difficoltà, con il mare sempre in tempesta, come sempre succede per la costruzione di un faro in mezzo al nulla, e i due anni preventivati diventarono cinque. il 7 Dicembre 1899 fu inaugurato sull’isola un faro costruito da uno dei famosi architetti di fari della dinastia Stevenson, una piccola costruzione affiancata da una torre alta 22 metri, la cui lanterna lanciava due lampi in rapida successione ogni 30 secondi visibili a 24 miglia di distanza. Al di sotto del faro si trovava ancora la piccola, antica cappella in pietra, costruita duecento anni prima.
Il 7 Dicembre 1900, nel primo anniversario della sua inaugurazione, arrivarono sull’’isola i guardiani in carica per il turno quindicinale : James Ducat, Capo Guardiano, Thomas Marshall secondo assistente e Donald Mc Arthur, definito “guardiano occasionale”, in quanto veniva ingaggiato quando c’’era da sostituire qualcuno, in questo caso era arrivato al posto di William Ross, il primo Assistente, che si era ammalato. Tutto procedette bene fino alla notte del 15 Dicembre 1900, quando il comandante della la nave “Archtor”, passando nelle vicinanze notò che la luce del faro era spenta. Dalle informazioni che si hanno sembra che questa notizia sia stata inviata dal comandante alle autorità competenti, ma che per qualche motivo non venne presa in considerazione o rimase in qualche cassetto. Il 21 Dicembre era previsto l’’arrivo all’’isola della nave “Hesperus”, nave appoggio ai fari, che veniva inviata dal Northern Lighthouse Board per una visita di routine al faro, ma anche per l’avvicendamento degli uomini e per l’’approvvigionamento. Una terribile tempesta che infuriava nella zona ne dilazionò l’’arrivo fino al 26, il giorno dopo Natale. Il tempo si era schiarito, ma comunque gli uomini dovettero effettuare diversi tentativi per poter attraccare ad uno dei due pontili del faro, situati uno a oriente ed uno ad occidente dell’’sola in modo da offrire possibilità di sbarco in condizioni di mare e di vento diversi, perché il mare era ancora agitato e l’approdo difficile.
Con grande sorpresa dell’’equipaggio nessuno dei guardiani del faro era in attesa, come di solito avveniva, per aiutare gli uomini che si sarebbero avvicinati su una piccola barca, così il comandante Harvie fece sparare un razzo e suonare la sirena, senza ottenere alcuna risposta, allora due dei componenti dell’’equipaggio, con molta difficoltà, riuscirono a scendere a terra con una barca, la tirarono in secco e andarono al faro per vedere cosa fosse successo. Il cancello d’ingresso e la porta del faro erano entrambi chiusi a chiave, e gli uomini dovettero entrare usando quelle di riserva, ma non c’era nessuna traccia dei tre guardiani. L’orologio nella stanza principale era fermo, il fuoco nel camino era spento, i letti erano in ordine, sul tavolo della cucina un piatto di stufato era stato lasciato a metà e c’era una sedia rovesciata sul pavimento, come se qualcuno fosse uscito molto in fretta. Nell’’armadio trovarono una sola cerata e un solo paio di stivali, segno che due degli uomini dovevano essere usciti durante il maltempo vestiti in modo appropriato, ma il terzo ? Era plausibile che fosse uscito in maniche di camicia mentre infuriava una tempesta ? Il libro di servizio del faro era in ordine fino al 13 Dicembre, e le istruzioni per i giorni 14 e 15 erano state scritte su una lavagna da Ducat, il Capo Guardiano. Un appunto era stato cancellato. Risultava che la lanterna era stata accesa il 14 notte, poi era stata ripulita e messa in ordine per essere riaccesa il 15 sera, era persino stato aggiunto l’olio di balena nella lanterna, ma perché era rimasta spenta ? Tutto faceva pensare che gli uomini fossero scomparsi in qualche momento dopo l’’ora di pranzo e prima che calasse la sera del giorno 15 e che il faro fosse abbandonato da diversi giorni.
Furono fatte ricerche accurate per tutta l’’isola, in tutti gli anfratti, in tutti gli angoli possibili, ma non portarono ad alcun risultato, nessuna traccia dei guardiani. Una prima impressione faceva pensare che potesse essere scoppiata una lite, forse dovuta al prolungato isolamento, tutti sanno che può anche portare alla pazzia, ma se pure si fossero picchiati a sangue, come era possibile che fossero spariti tutti e tre ?
Alcuni uomini dell’”Hesperus”, tra i quali un certo J. Moore, si fermarono provvisoriamente sull’isola per riattivare il faro che era stato spento dal 15 al 26 Dicembre, e, prima di poter pensare ad investigare a fondo, la Commissione Scozzese per i fari prese rapide misure per rimetterlo in funzione. Il 27 Dicembre inviò un telegramma al guardiano del faro di Tiumpan Head sull’isola di Lewis : “Incidente alle Isola Flannan. Recatevi là a prendere servizio per circa due settimane. Incontrerete la nave postale “Stornway” domani notte. Jack, Assistente guardiano, arriverà con la nave. Recatevi insieme a Breascleit a raggiungere l’’Hesperus”. Ferrie, di Stornway arriverà stanotte per prendere servizio a Tiumpan Head. Risposta per telegramma”. Questa la parte burocratica e la prima, urgente soluzione al problema di poter tenere acceso un faro così importante, ma benché in seguito venissero fatte altre accurate indagini, nessuno riuscì e venire a capo del mistero.
Dove erano finiti i tre uomini ? A tutti sembrava impossibile che tre esperti guardiani di un faro in una zona disagiata come quella fossero usciti insieme all’aperto durante una tempesta, come risulta dal lungo rapporto scritto dal Sovrintendente Robert Muirhead l’8 Gennaio 1901. Quest’uomo era andato sull’isola il 29 Dicembre per investigare, e il suo dettagliato rapporto è conservato negli Archivi Nazionali di Scozia. Da questo risulta che ogni possibile ricerca era stata fatta sia all’interno del faro sia per tutta l’isola e che niente mancava. Tutta via qualche stranezza venne notata : vicino all’imbarcadero occidentale mancava un salvagente che si trovava alloggiato in quel posto per i casi di emergenza e una gru che sovrastava le rocce era mezzo divelta, con le funi tutte aggrovigliate. La conclusione fu che, anche se il 15 Dicembre era stata una giornata di mare abbastanza calmo, un’ondata anomala di particolare violenza e dimensioni doveva avere investito all’improvviso quella zona, strappando il salvagente dalla sua posizione e danneggiando la gru e che gli uomini, forse accorsi per riparare i danni, dovevano essere stati travolti da quell’ondata improvvisa e miseramente annegati o forse uno era caduto in mare e gli altri, nel tentativo di salvarlo, avevano subito la stessa sorte. Però le imbragature di sicurezza erano al loro posto, come era pensabile che tre uomini con la loro esperienza non avessero usato quegli attrezzi così utili per la salvezza ? Restava comunque il mistero della cerata non indossata.
Al Sovrintendente toccò anche il triste compito di avvisare personalmente le tre vedove. Nel frattempo era giunta voce che il faro era rimasto non visibile dalla terraferma, se non spento, per alcune notti, tra il 7 ed il 26 Dicembre, notte in cui fu riacceso dai marinai dell’”Hesperus” e questo creò un altro mistero. Il Sovrintendente aveva avuto una conversazione con il Capo Guardiano Ducat proprio il 7 Dicembre quando lo aveva accompagnato sull’isola e, in quell’occasione, era stato presa in considerazione l’opportunità che i guardiani esponessero un segnale anche di giorno per comunicare che tutto andava bene. Tutto questo era comunque di poca utilità, perché le condizioni atmosferiche della zona non consentivano mai una buona visibilità del faro da terra. La relazione si conclude con parole di rincrescimento per la perdita di tre uomini così validi, selezionati personalmente dal Sovrintendente stesso per lavorare in un faro dell’importanza di quello delle Isole Flannan e con la consapevolezza che con la sua visita a Eilean Moor, il 7 Dicembre, lui era stato l’ultima persona a stringere la mano a quegli uomini.
Queste le conclusioni ufficiali, anche se il caso non venne mai ufficialmente chiuso, seguite da anni di ulteriori indagini, che però non hanno mai portato a niente. Nel 1947 un giornalista, Valentine Dyal, si era recato sull’isola per scrivere un ulteriore resoconto degli avvenimenti, e pensò di avere messo la parola fine ad anni di speculazioni. Si riferiva all’esperienza vissuta da uno scrittore scozzese, Ian Campbell, che aveva visitato Eilean Moor un po’ di tempo prima e che aveva raccontato che mentre si trovava all’imbarcadero occidentale in una giornata di mare assolutamente calmo e senza vento un’ondata improvvisa di oltre 20 metri si era improvvisamente alzata dal nulla, si era rovesciata sul molo, dopodichè tutto era tornato calmo e tranquillo Campbell si informò dai pescatori delle isole vicine e sentì raccontare storie di onde anomale che avevano inghiottito interi pescherecci, e che spesso di riversavano su quell’isola maledetta, ma di più non riuscì a sapere.
Ma ci sono state altre ipotesi, mai suffragate da fatti. Voci cominciarono a correre, si diceva che la cucina era in realtà tutta in disordine, che il dramma doveva essersi svolto all’interno del faro e non all’esterno e che i tre uomini dovevano essersi uccisi a vicenda, finendo poi in mare in qualche modo. Poi si accese anche la fantasia, qualcuno raccontò che un enorme serpente marino, chiamato “krake” avesse la sua dimora al di sotto di Eilean Moor e che fosse uscito dal mare per divorare i tre guardiani e che avesse distrutto la gru con un colpo di coda mentre tornava nella sua tana. Un’altra storia raccontava che tre bellissime sirene si erano affacciate all’imbarcadero mentre gli uomini erano intenti al loro lavoro e che li avevano portati in fondo al mare con le loro lusinghe. Non è mancato anche chi ha vagliato la possibilità che fossero stati rapiti dagli alieni. Nel 1912 Wilfrid Gibson scrisse anche una poesia dedicata al fatto.
Nel 1971 il faro è stato automatizzato e ora è stato anche elettrificato per mezzo di cellule solari poste sul lato sud della torre, la modernità è arrivata anche in quello sperduto angolo di mare, così non c’è più nessun guardiano a prendersi cura della lanterna, ad accenderla ogni sera. Ed il mistero ? Non è mai stato risolto e qualunque sia stata la sorte di quei tre uomini ormai sono entrati nella storia e nella leggenda e nessuno li scorderà mai.