Siamo arrivati all’ultima parte di questo approfondimento sulla tecnologia.
Il C.te Gilli, Presidente dell’Associazione IL MONDO DEI FARI, ci racconterà come il Servizio Fari abbia studiato, sin dal loro esordio commerciale, le fonti di energia rinnovabili e le luci a basso consumo, per un loro impiego operativo nei Fari Italiani.
I nostri esperti ci spiegano come fu superato l’unico momento veramente “buio” della storia delle lanterne e come in tutto il mondo questo problema fu brillantemente ed “ecologicamente” risolto.
Nicola Sechi nello specifico ci racconta la sua esperienza con gli scambiatori automatici di lampade da lui installati per la prima volta nei fari della Sardegna.
Le lampade ad incandescenza illuminano con una nuova luce i fari di tutto il mondo, il gas acetilene inizia a spegnersi un po ovunque e sempre nuove tecnologie si affiancano per rendere meno pesante il duro lavoro dei Fanalisti. In questa terza parte, di approfondimento tecnologico, il C.te Gilli e Nicola Sechi ci racconteranno dell’avvento dell’energia elettrica e dei primi sistemi automatici installati sui principali fari Italiani.
Appassionati di fari eccoci alla seconda parte dell’approfondimento sulla tecnologia utilizzata nei segnalamenti con l’arrivo dei gas combustibili. Il C.te Gilli e tecnico di fari Nicola Sechi ci raccontano come l’uso dell’acetilene cambiò la luce nei fari di tutto il mondo e quali erano le apparecchiature che servivano per il suo utilizzo.
Buona visione a tutti.
Inizia oggi una nuova serie di approfondimenti video scritta a quattro mani.
Parleremo della tecnologia che nei secoli è stata utilizzata per creare quel susseguirsi di luce e buio che ogni notte guida verso un porto sicuro.
Nicola Sechi e il C.te Stefano Gilli ci condurranno attraverso i secoli spiegandoci come l’uomo si è ingegnato per alimentare, amplificare e proteggere quella luce che da sempre rende meno buie le notti dei marinai.
Più di 500 scalini. Il silenzio. Il colore giallo dei limoni ed il loro profumo. Poi un bosco di leccio e poi, ancora, la fitta vegetazione di macchia mediterranea. Sullo sfondo, alla fine, la casetta rossa con la lanterna che svetta sul mare di un blu intenso che ti spalanca il cuore e ti fa sentire parte dell’infinito.
Così mi immaginavo la strada fino al Faro mentre Fabrizio Canonico, Coordinatore per il WWF Italia del Progetto Faro di Capo D’Orso, mi parlava della sua valorizzazione.
Il Faro si trova a Maiori – nel cuore della costiera amalfitana – ed oggi di lui se ne prende cura il WWF Oasi, soggetto gestore delle Oasi dell’Associazione WWF Italia.
Questo Faro rientra fra quelle strutture ubicate sulla costa che l’Agenzia del Demanio ha ritenuto di mettere sul mercato al fine di sottrarle al degrado e consentirne un riuso con finalità turistico-ricettiva, ricreativa, didattica e per la promozione di eventi di tipo culturale, sociale, sportivo, nell’ottica di far crescere un turismo sostenibile legato al mare.
Il Progetto, partito nel 2015 a seguito di una consultazione pubblica, si chiama “Valore Paese Fari,Torri ed Edifici costieri” e si inserisce nell’ambito del programma “Valore Paese – Dimore”. E’ stato promosso dall’Agenzia del Demanio e dal Ministero della Difesa attraverso la società in house del Ministero denominata Difesa Servizi S.p.A. e riguarda Fari, Torri ed Edifici costieri di proprietà dello Stato.
Lo strumento scelto è quello delle concessioni e locazioni di valorizzazione, che, a norma dell’art. 3 bis del d.l. n. 351 del 2001, costituiscono uno strumento volto alla riqualificazione e alla riconversione di taluni beni facenti parte del patrimonio immobiliare dello Stato attraverso interventi di recupero, di restauro e di ristrutturazione, con la possibilità di individuare nuove destinazioni d’uso per lo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini.
Gli immobili vengono così dati in concessione o in locazione, a titolo oneroso, ad imprenditori ed associazioni, per un periodo di tempo variabile e comunque commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa. In origine, era previsto un limite temporale massimo di cinquanta anni, tuttavia, al fine di consentire agli operatori economici il più efficace utilizzo di questi strumenti, il termine è stato, poi, rimosso. Per quanto riguarda, nello specifico, il bando di gara che ha interessato il Faro di Capo D’Orso, esso prevede una durata della concessione da sei a cinquanta anni.
Il soggetto cui affidare la “nuova vita” di questi immobili è scelto attraverso una gara ad evidenza pubblica, ma i beni rimangono di proprietà dello Stato, essendone esclusa l’alienazione.
Il progetto che riguarda il Faro di Capo D’Orso prevede, innanzitutto, il restauro interno della Torre posta ad una altezza di circa 70-80 metri sul livello del mare ove saranno realizzati un punto informativo ed una sala dedicata all’ambiente marino, con un percorso che prevede l’installazione di pannelli didattici.
Al piano terra, attraversando una porta a vetri, ci si affaccia su una distesa di colore blu intenso … da togliere il respiro. C’è un punto in cui il mare è molto profondo … di lì passano i capodogli perché quella è una zona di migrazione. Poi, girando lo sguardo, si viene abbagliati dalle lenti scintillanti della Lanterna che, per la felicità dei “puristi”, continua ad essere della Marina Militare.
Sempre al piano terrà, all’interno del locale dove il “guardiano del faro” cuoceva il pane nel forno a legna, è previsto un punto ristoro.
Salendo, al primo piano, vi si troverà una sala multifunzionale, destinata ad ospitare scolaresche, eventi culturali e conferenze sui temi della conservazione, della ricerca scientifica e dello sviluppo sostenibile.
Sempre al primo piano, vi è anche un piccolo appartamento, già ristrutturato nel 2015 prima dell’affidamento al WWF Italia, destinato a turisti in cerca di quiete e desiderosi di conoscere le straordinarie bellezze naturalistiche che la zona offre. Qui non si arriva con l’auto ed è difficile portarsi dietro grossi bagagli … la sosta, allora, dovrà essere breve … ma di sicuro intensa!
La terrazza superiore, invece, sarà allestita con sedute per lo svolgimento di eventi culturali. Grazie ad un accordo con un’associazione culturale, si svolgeranno concerti di musica classica e letture di poesie.
Poesia nella poesia … penso io.
Il progetto con il quale il WWF si è aggiudicato la struttura prevede anche la tutela a la conservazione del preziosissimo patrimonio naturalistico della parte terrestre circostante il Faro. L’area, non a caso, ricade all’interno del Parco regionale dei Monti Lattari.
In verità, probabilmente in ragione della impervietà dei luoghi, l’area intorno al Faro si presentava selvaggia e ben conservata, sicché nono sono stati necessari grandi interventi di sistemazione della flora.
Lungo il percorso che conduce al Faro, che verrà valorizzato come percorso naturalistico, si incontrano un limoneto, un bosco di leccio e, nell’area più prossima alla Torre, piante della macchia mediterranea. Vi cresce anche la palma nana.
Il Progetto prevede il ripristino dei gradini sconnessi e dei muretti in pietra crollati, nonché l’installazione di cartelli illustrativi della flora e della fauna presenti.
Dal luogo in cui si trova il Faro si gode un bellissimo panorama sul Golfo di Salerno. Ecco che il progetto contempla la creazione di punti di osservazione, così da offrire la straordinaria opportunità di ammirare dall’alto la zona marina.
E allora riprendo il mio cammino, scendendo (idealmente) dal Faro verso il mare.
L’area a mare è particolarmente meritevole di protezione, tanto è vero che ricade all’interno di un Sito di interesse comunitario (SIC) ed è classificata come Zona di protezione speciale (ZPS).
Il Progetto del WWF prevede la riattivazione del punto di attracco, utilizzato nei tempi passati per l’approvvigionamento delle famiglie dei faristi che lì soggiornavano, il quale sarà nuovamente al servizio del Faro per il trasporto di persone su unità di piccole dimensioni (non c’è un pescaggio sufficiente per unità grandi). Nei pressi della struttura non vi sono parcheggi per auto, sicché quello via mare può rappresentare, al contempo, sia un modo alternativo e sostenibile (dal punto di vista dell’impatto ambientale) per arrivare al Faro sia un modo per conoscere le bellezze naturalistiche che l’ambiente marino offre.
Sul fondale si trova il corallo rosso e, a circa 350 metri dal promontorio su cui si trova il Faro, è presente anche una secca, denominata Secca del Gaetano, che riveste un grande interesse per l’attività di pesca.
Al fine di tutelare queste e le altre risorse naturali presenti, l’Associazione si è fatta promotrice della creazione di un’Oasi blu, per la quale è stato già avviato l’iter amministrativo.
L’Oasi blu rientra fra quelle numerose misure di tutela e valorizzazione delle risorse biologiche marine che possono mettersi in campo, probabilmente quella che richiede tempi più brevi per veder la luce, specie ove si consideri il percorso lungo e complesso necessario per la creazione delle Aree Marine Protette ai sensi della l. n. 979 del 1982 e della l. n. 394 del 1991.
Essa rappresenta uno strumento di gestione di un’area riconosciuta Sito di interesse comunitario (SIC) o di un’area attigua: all’interno di tali zone, infatti, le attività umane vengono regolamentate e vengono avviati programmi di ricerca, tutela, gestione e salvaguardia del patrimonio naturalistico esistente.
L’imperativo qui è, dunque, coniugare conservazione e uso, adottare un “approccio ecosistemico” in ossequio alle normative vigenti.
La sfida del WWF Italia, nelle parole di Fabrizio Canonico, Coordinatore del Progetto Faro di Capo D’Orso, è dimostrare, per l’appunto, che una gestione attenta e rispettosa può, da un lato, consentire la conservazione delle risorse naturali, dall’altro, apportare un vantaggio economico alla collettività.
E’ forte, infatti, l’interesse per la componente sociale: le bellezze di questi luoghi non saranno appannaggio di pochi prescelti. L’area si apre alla collettività e solo per ragioni di salvaguardia dell’ambiente gli accessi agli eventi saranno contingentati.
L’obiettivo dichiarato, dunque, è contribuire alla promozione di un turismo sostenibile e consapevole, che arricchisca e non depauperi queste straordinarie risorse.
E anche oggi il viaggio termina qui!
Il servizio cartografico, insieme a quello dei fari e dei segnalamenti marittimi, contribuisce alla sicurezza della navigazione.
Competente per questo servizio è l’Istituto Idrografico della Marina Militare, Ente del Ministero della Difesa e Organo Cartografico dello Stato deputato alla produzione della documentazione nautica ufficiale.
L’Istituto è stato fondato nel 1872 ed ha sede a Genova. E’ posto alle dipendenze del Capo di Stato Maggiore ed è retto da un Ufficiale con il grado di Ammiraglio del Corpo di Stato Maggiore, mentre le attività sono svolte da personale dell’Amministrazione della Difesa, sia militare che civile.
La cornice normativa di riferimento è costituita dal d.lgs. 15 Marzo 2010 n. 66 – Codice dell’Ordinamento militare (C.O.M.) e dal d.p.r. 15 Marzo 2010 n. 90 – Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (T.U.O.M.), cui il Codice rimanda per la disciplina dell’ordinamento dell’Istituto Idrografico.
I compiti e le funzioni dell’Istituto sono elencati analiticamente nell’art. 222 T.U.O.M..
In base a quello che è il principale testo normativo, a livello internazionale, in materia di salvaguardia della vita in mare, vale a dire la Convenzione di Londra del 1969 sulla sicurezza della navigazione (SOLAS 1969), l’Istituto ha il compito di produrre e aggiornare la documentazione nautica ufficiale con riferimento alle acque di interesse nazionale. E ancora, ha il compito di redigere le normative tecniche e di fornire consulenza per standardizzare l’esecuzione dei rilievi idrografici inerenti alla sicurezza della navigazione, si occupa della formazione del personale da adibire a funzioni idrografiche e oceanografiche e partecipa all’attività dell’Organizzazione idrografica internazionale (IHO), ossia quell’organizzazione intergovernativa istituita nel 1921, con sede nel Principato di Monaco, la quale, come si legge sul sito ufficiale, “lavora per garantire che tutti i mari, gli oceani e le acque navigabili di tutto il mondo siano controllati e tracciati” e “coordina le attività degli uffici idrografici nazionali e promuove l’uniformità delle carte nautiche e dei documenti”. L’idrografia costituisce la base di tutte le attività che vedono coinvolto il mare, dalla sicurezza della navigazione, alla protezione dell’ambiente marino, all’uso delle risorse marine, al Commercio marittimo, alla nautica da diporto, alla protezione e gestione delle zone costiere.
Per quanto riguarda, invece, le funzioni, il testo regolamentare stabilisce che l’Istituto Idrografico è responsabile della produzione della documentazione nautica ufficiale per le aree aventi interesse nazionale, effettua, direttamente o unitamente ad organismi pubblici e privati, studi, rilievi e lavori necessari al compimento della propria missione, verifica e valida i rilievi utilizzabili per la compilazione della documentazione ufficiale, pianifica e coordina l’esecuzione di rilievi oceanografici necessari alla produzione cartografica e all’attività d’istituto delle Forze armate, nonché concorre alla ricerca oceanografica nazionale, esegue i rilievi mareometrici necessari alle esigenze idrografiche e riceve le misure mareometriche eseguite nelle acque di giurisdizione nazionale, riceve dall’autorità marittima le informazioni necessarie per la produzione degli aggiornamenti e delle varianti alla documentazione nautica.
Per produrre la cartografia e la documentazione nautica sia in formato tradizionale che in quello elettronico, l’Istituto utilizza navi idro-oceanografiche della Marina Militare. Attualmente, sono tre le navi destinate a tale scopo, ovvero la Nave Ammiraglio Magnaghi, la Nave Aretusa e la Nave Galatea, le cosiddette navi “bianche”, così chiamate in ragione del colore dello scafo utilizzato, che contraddistingue le unità militari dedicate a scopi ausiliari e le differenzia dalle navi da battaglia che sono definite, invece, navi “grigie”.
E mentre penso al prezioso lavoro svolto dall’Istituto Idrografico, mi tornano alla mente le “carte” di cui parlava Predrag Matvejevic nel suo splendido ed emozionante “Breviario mediterraneo” e le sue parole… “Il mare non lo conosciamo da soli e non lo guardiamo solo con i nostri occhi” e la “storia dei viaggi non può essere separata da quella delle carte” ma “quanto più possiamo sapere di questo mare, tanto meno lo guardiamo da soli”.
E anche oggi il viaggio termina qui!